Si fa presto a dire Tiny House. Sdoganato il loro utilizzo solo per finalità estetiche, di impatto ambientale o economico, queste case ridotte al minimo hanno grandi potenzialità anche per chi non fa rientrare il minimalismo tra le ragioni della scelta di vivere in una mini-casa progettata per restituire molto all’ambiente e a chi la abita
Le Tiny House sono case a misura di uomo e di spazi (ridotti). Le mini-case sono compatte e dotate di tutto il necessario per sopravvivere e vivere con una coscienza rinnovata dell’ambiente. A fare la differenza dalle case “normali” è soprattutto la dimensione: piccola e pensata per abitare al massimo in 3 persone. Ma le Tiny House, o “casette”, termine italiano che ne definisce di più l’accezione positiva, sono ideali soprattutto per vivere da soli. Sono progettate per creare un legame più stretto e intimo con il paesaggio che le circonda ed entro il quale sono state collocate, che sia un Tiny Village con altre Tiny Houses raggruppate, oppure immerse nella natura e distanti da altre forme di vita umana oltre a che quelle che le abitano.
Le Tiny House come modello di integrazione di spazi e culture
Durante la Rivoluzione Industriale in Europa ci fu un esodo di persone che dalle proprie case di campagna si trasferì negli agglomerati urbani: lì c’erano i servizi, le comodità, il lavoro. La società moderna era in pieno sviluppo e spostarsi in città fu una scelta obbligata per chi voleva vivere pienamente la City Life.
Dopo quasi 3 secoli e numerosi contro-esodi che hanno portato i cittadini delle metropoli a trasferirsi nuovamente fuori città, adesso le esigenze che guidano la scelta di abitare in una casa piccola e “tutta per sé” sono un po’ diverse. Sicuramente, come è accaduto tante volte, tra le motivazioni di un cambiamento così radicale c’è quello che riguarda un aspetto olistico e sostenibile dei consumi e degli spazi. Tuttavia dinanzi al bisogno sempre più esteso di emergere da un’economia che affossa le categorie sociali più deboli, le Tiny House rappresentano una risposta alle problematiche di integrazione di culture, appianamento di diritti e accesso a beni e servizi.
Le Tiny House rimangono l’evoluzione di un bisogno antico, che è quello di mantenere uno spazio tutto per sé: un’integrità morale, fisica e anche ambientale in un contesto che considera l’omologazione come una virtù della globalizzazione
Dapprima pensate soprattutto come una moda per patiti di design e vita nella natura, le potenzialità di queste casette vengono snocciolate da architetti, urbanisti, paesaggisti ma anche da chi si occupa di gestire le urgenze sociali delle periferie urbane, dei problemi di chi vive ai margini e di un utilizzo intelligente delle aree non edificate. Ad essere sviluppato non è tanto il modello di vita minimalista che suggerisce la Tiny House, quanto il concetto di rimarginazione di territori e risorse inutilizzate. La TinyHouse University (TinyU) studia i possibili sviluppi di questa corrente architettonica all’interno di una organizzazione sostenibile degli spazi.
Condividere, ma non proprio tutto. Una casetta per ridefinire i confini di una vita privata
Le Tiny House rimangono comunque l’evoluzione di un bisogno antico, che è quello di mantenere uno spazio tutto per sé: un’integrità morale, fisica e anche ambientale in un contesto che accidentalmente considera l’omologazione come una virtù della globalizzazione, e che spersonalizza spazi finora rimasti privati, ad esempio con l’uso smodato della condivisione in tempo reale di esperienze online. Rimarcare i confini di ciò che rimane personale anche se è condiviso è una delle caratteristiche meno pubblicizzate delle piccole case, che attraverso un design accattivante vogliono essere il simbolo di un edonismo versione green.
Il Tiny House Movement ha avuto molto successo negli Stati Uniti, dove, per evitare spese strabordanti di mutuo e affitti, giovani in piena età da matrimonio hanno rinunciato alla stabilità di una famiglia tradizionale per andare a vivere da soli in una casa in riva al fiume di 20 metri quadri. In Europa la tendenza sta prendendo piede da qualche anno, e, complice il rincaro delle quote d’affitto e l’indisponibilità degli appartamenti negli ambiti urbani più attivi della città, tra i Millennials è arrivato il momento di scegliere tra vivere al massimo delle proprie risorse fuori o dentro casa. E a quanto pare in molti hanno scelto la prima opzione.
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